CULTURA – REplay – PADRONI DI CASA

a cura di Viviana Gaggiotti

Agosto ha visto l’uscita nelle sale cinematografiche italiane dell’atteso ritorno di Gianni Morandi al grande schermo. La popolarità dell’eterno ragazzo ha fatto da traino pubblicitario per il film “Padroni di casa”, secondo lungometraggio del giovane Edoardo Gabbriellini, noto al grande pubblico per il suo ruolo da attore protagonista in “Ovo sodo” e qui nelle vesti di regista.
Dopo due lunghi anni di realizzazione nell’appennino Tosco-Emiliano, che hanno coinvolto nelle riprese gli abitanti del luogo ed il fan club nazionale di Morandi, “Padroni di casa” ha lasciato a bocca aperta il pubblico del festival di Locarno e tutti gli Italiani.
L’inizio della pellicola è destabilizzante. Nella mente dello spettatore si fa persino spazio la convinzione di aver sbagliato sala, a causa dell’ambientazione decisamente dark, sul genere di “The Blair Witch Project”. Ci troviamo nei meandri di una riserva protetta quando, ad un tratto, appare un lupo selvatico ed un ragazzo, uscito a caccia con il padre, spara un colpo mortale. <br>
Questo colpo è la scintilla che accende una lunga miccia.
L’azione si svolge interamente in una piccola comunità montana, piuttosto isolata. Due forestieri, Elio Germano e Valerio Mastrandrea, vi si inseriscono disturbandone le dinamiche. I due fratelli giungono nel paesino per effettuare alcuni lavori di ristrutturazione nella casa di fausto Mieli, cantante di fama internazionale impersonato da Gianni Morandi. L’artista si accinge a calcare nuovamente le scene dopo lunghi anni di silenzio, durante i quali si è preso cura della moglie, colpita da un ictus che la ha immobilizzata, togliendole la voglia di vivere.
Il timore che l’immagine stereotipata di Morandi potesse prevalere sul personaggio viene subito scacciata dall’amaro cinismo che solca il suo viso. Il sorriso di Fausto Mieli è un ghigno ambiguo. Un velo indecifrabile copre il suo volto nel momento in cui lascia la moglie morire, distesa per terra, senza aiutarla.
La donna ha volontariamente rinunciato alle sue medicine salvavita. Mieli la scavalca e si volta di spalle per non vederla. Come interpretare questo gesto? Cattiveria pura od accettazione di una scelta?
Purtroppo della morte verranno incolpati i due “estranei”. Come sempre, è lo straniero il primo sospettato. Loro hanno visto la carcassa del lupo nel furgone del ragazzo-cacciatore al loro arrivo, e da allora non sono stati visti di buon occhio dalla ristretta comunità.
Misteri, omertà e pregiudizi sfociano in una spirale di violenza cieca senza uscita, che sempre più rapidamente porterà verso una carneficina incontrollata. Ed è proprio una spirale color rosso fuoco il soggetto del mosaico che Mastrandrea decide di posizionare sul vialetto di entrata della casa di Fausto Mieli, per il quale lavora temporaneamente. Spirale, Rosso, Fuoco, Mosaico. Simboli chiave per la giusta lettura di questo film per nulla banale.
Le sensazioni sono contrastanti. Da un lato il disgusto istintivo dello spettatore Italiano, poco avvezzo alla cruda cinematografia splatter. Dall’altro la curiosità di decifrare la simbologia disseminata nel percorso, che viaggia su due binari paralleli: la riserva naturale in cui viene ucciso un lupo rispecchia la comunità omertosa in cui un innocente paga le colpe di una violenza gratuita.
Chi sarà il lupo? La moglie di Mieli? Mieli stesso? Il giovane Elio Germano, ucciso a bruciapelo dallo stesso ragazzo che ha ucciso l’animale protetto all’inizio del film?
Forse sarà meglio vederlo una seconda volta per capire. REplay.