L’esperimento è durato 3 giorni e ha coinvolto 17 guidatori, di cui 14 fumatori, per un totale di 104 viaggi in auto di durata variabile da 5 a 70 minuti (27 minuti in media), tra l’ovest della Scozia e l’est dell’Inghilterra. Utilizzando un detector specifico, gli autori hanno misurato una volta al minuto le concentrazioni di particolato sottile nell’area posteriore dell’auto, la zona passeggeri, all’altezza della testa di un bimbo. Di 83 viaggi è stato possibile misurare i livelli di particolato sottile, e in 34 di questi il guidatore non fumava. Ebbene, da una media di 7,4 microgrammi di polveri per metro cubo d’aria nei viaggi no-smoking, si passava a una media di 85 microgrammi/metro cubo nei viaggi smoking, con punte di 385 microgrammi/m3 e perfino di 880 a seconda del numero di sigarette fumate.
Sul totale fumatori coinvolti nell’esperimento, 5 ‘bruciavano’ più di un pacchetto da 20 al giorno; 7 consumavano da 10 a 19 sigarette al dì e gli altri meno di 10. In generale, chi fumava in auto tendeva a creare una forma di ricambio dell’aria, ma in tutti i viaggi monitorati a un certo punto veniva superato illivello di ‘allarme rosso’ fissato dall’Oms in 25 microgrammi di polveri fini per ogni metro cubo d’aria.
I ricercatori ricordano che l’esposizione al fumo passivo è associata a numerosi problemi di salute nei bambini: dall’aumentato rischio di morte in culla alle otiti medie, all’affanno, all’asma. “I bimbi sono più a rischio – ricordano gli scienziati – a causa di una maggior frequenza respiratoria, di un sistema immunitario meno sviluppato e del fatto che spesso sono troppo piccoli per avere la possibilità di spostarsi a seconda della direzione del fumo, in modo da evitarlo”.